Gennaio 15, 2006
Antoine Gaber e l’esplorazione contemporanea dell’arte terapeutica di Adriana Herrera Téllez
Giornalista e critico d’arte, Miami, Florida
Tradotto dallo spagnolo, citazione inedita (VERSIONE SPAGNOLA)
L’artista canadese Antoine Gaber rivisita l’impressionismo dei maestri francesi nell’appropriazione frequente nell’arte contemporanea di un importante epoca della storia dell’arte
In ogni caso, Gaber si distingue da altri artisti che nelle loro opere assimilano immagini classiche per trasformarle in icone; egli ritorna a scene o a immagini conservate nella memoria (le ninfee di Monet), un tributo ad opere durevoli che hanno drammaticamente trasformato il concetto di arte.
Nel suo lavoro vi è qualcosa che va oltre i meri riferimenti a dipinti di artisti del secolo XIX, che rifiutano di copiare l’immagine mimetica della realtà per catturare l’impressione abbozzata dal proiettarsi della luce diurna sugli oggetti: Antoine Gaber sta cercando di suscitare una trasformazione nello spettatore che crede al potere della contemplazione.
Tutti noi sappiamo che l’impressionismo ha spezzato la nozione di arte come rappresentazione oggettiva della realtà. L’idea di un mondo fisso si sposta per misurare l’impressione che esso stimola nell’occhio di chi osserva. Le pennellate catturano le forme attraverso il setaccio sempre mutevole della luce, cercando di congelare la percezione del puro istante di qualunque scena paesaggistica definita di un qualsivoglia luogo sulla terra soggetto al trascorrere delle ore.
Gaber estende questo spostamento d’asse della rappresentazione realizzato dagli impressionisti, dal momento che il dipinto attraversa l’occhio dello spettatore per porsi sulla soglia visiva della trasformazione interiore. Il suo dipinto include la nozione che il contatto con ciò che viene visto ha il potere di alterare lo stato interiore dell’osservatore, il quale assorbe il dipinto come l’artista Zen che dipinge una scena sul muro della sua cella e pensa di poter fuggire passandovi attraverso.
Parlando di questa prospettiva, possiamo vedere una caratteristica del suo sviluppo creativo, che è anche una tendenza crescente nell’arte contemporanea: il desiderio di purificare (curare, confortare) lo spettatore. Essere consumati da ciò che vediamo è il preambolo di ogni cura, tramite un arte che emerge dalla luce proiettata su tutte le cose esistenti.
La terminologia Arte Curativa è un concetto ancora difficile da maneggiare perché il suo significato va oltre quello di arte; termine usato anche per definire il benessere provato da qualcuno attraverso l’arte. Altra cosa è il processo creativo di Antoine Gaber, che conduce ad un arte concepita per curare coloro i quali ne scoprono la virtù.
Che si tratti de L’urlo di Munch, delle immagini forti di un allucinato e disperato Basquiat a Manhattan o delle tele di Andrés Serrano macchiate coi suoi stessi liquidi corporei, solo per menzionarne alcuni, giungiamo a capire che nell’arte contemporanea c’è una decisa tendenza a rispecchiare un mondo insensato. Quest altra arte, la quale non cerca di riflettere i mali di oggi ma di curare l’anima (e il corpo) di chiunque lo voglia, è più inusuale e merita la nostra attenzione. Il processo creativo che fa uso della funzione terapeutica è meno noto e non ha mai goduto del vantaggio di un approccio teoretico. Dunque, l’importanza di questo artista è qualcosa di cui tener conto.
Durante la fanciullezza, Antoine Gaber osservò suo zio dipingere con stupore. Fu affascinato anche dalla fotografia. Non riusciva a trascurare il fatto che un certo qual processo magico era in grado di fermare un immagine del mondo per l’eternità. Ciò lo avrebbe incitato a scattare numerose foto e a metter su una camera oscura che trasformò in studio, dove avrebbe fatto ritratti artistici e sviluppato foto paesaggistiche che per lui erano già motivo di pace.
La natura filtrata mi dava l’impressione che il tempo si fosse fermato e mi permetteva di comunicare con Dio e di apprezzare la bellezza del creato intorno a me.
Anche se trascorsero alcuni decenni prima che questa esperienza si aprisse alla pittura, Gaber aveva catturato l’intensità del momento, quando i suoi occhi vedono nella scena un miscuglio di colori il quale è, a suo modo, l’immagine perfetta dell’impressione ogni qual volta l’anima raggiunga l’istante prezioso che condensa l’eternità.
Adesso sono passati 12 anni da quando iniziò a dipingere come artista autodidatta, studiando le opere dei maestri impressionisti, le estasi della luce riflessa su una scala che va dal rosso al porpora. Sulla sua tela il nero è assente, però ci sono giochi di luce e d’ombre e il suo dipinto continua ad esprimere la liberazione che tutte le cose belle sono prodotte nell’anima.
Se il movimento impressionista ha ispirato la libertà di stile e condivide con l’espressionismo il collegamento tra processo pittorico e sentimento interiore, Gaber aggiunge al mix la volizione di artisti schiettamente contemporanei come Lygia Clark, dato che cerca di attirare l’attenzione dell’osservatore. Anche se non si dedica a costruire sculture o creature come questa brasiliana, che conferisce ai processi terapeutici lo status di arte e che invita lo spettatore ad interagire con le sue opere, Gaber dipinge dei paesaggi per avere accesso all’interiorità dello spettatore.
La sua arte è provocatoria ma all’estremo opposto della trasgressione così caratteristica di un arte che emerge da una società disintegrata come la nostra dato che la sua intenzione non è di disturbare la percezione ma di unire colori e forme per soddisfare lo spettatore, il quale è anche, a suo modo, un paziente. Questa funzione non è dissimile da quei lavori che hanno alterato i limiti dell’arte come le indimenticabili esibizioni di Joseph Beuys che presenta il suo personale processo curativo, sebbene lo stile di Gaber si riferisca ad una tradizione artistica antica.
Mai però come ora si è capito che il potere della ri-attualizzazione ha del tutto a che fare con l’uso dell’oggetto artistico. Le vedute impressioniste alla Monet sono in qualche modo oggetti trovati, che Gaber usa come nuova funzione collegata al suo programma: curare. Liberare la gente è l’anima dell’arte, ha detto Beuys.
Essendo un ricercatore sul cancro che si è dedicato allo sviluppo di nuovi medicinali, Antoine Gaber sa cosa sia la sofferenza umana e specialmente la sofferenza causata dalle cellule distruttive. Sembra quasi che, naturalmente in accordo con la ricerca farmaceutica e con il fascino che emana dallo stile di Monet, egli cerchi di usare l’ampia concentrazione di luce e d’entusiasmo per dipingere scenari che invitino lo spettatore ad una realtà diversa da quella del corpo tormentato: spazi che gli ricordino che da qualche parte nel mondo (e dentro di lui) c’è la pace assoluta e ci sono colori che eseguono la sottile danza dell’armonia.
Dopo il meticoloso studio tecnico fatto su L’orchestra di Degas, Gaber rivisita La modella, uno dei lavori più noti di Tamara de Lempika, la famosa artista Art Deco. Sebbene fosse la prima volta che egli s’avventurava fuori dall’impressionismo, quest opera pittorica per aiutare il lancio di un nuovo farmaco contro il cancro rivela il senso profondo della sua arte: la passione condivisa per la sofferenza umana.
La donna si copre parte della faccia con il braccio e si presenta in modo diverso dal seno perfettamente nudo dell’originale; l’occhio esperto noterà che nella modella di Gaber – la chirurgia ne ha modificato la taglia – il braccio è più lungo del normale, effetto collaterale di questo genere d’operazione. La mutilazione del corpo appena visibile produce un carico emotivo nella donna, la quale avverte la macchia della malattia. Gaber sapeva come catturare il senso profondo di tale dramma.
Questo stesso sentimento di compassione unito alle considerazioni estetiche guidò il progetto filantropico Passione per la Vita, che Gaber lanciò nel 2004 per finanziare la ricerca sul cancro con la vendita delle sue opere. Il premio Lorenzo il Magnifico per il suo contributo sociale e per la sua iniziativa artistica non significò soltanto riconoscimento personale, ma anche l’adesione di 13.000 artisti da tutto il mondo, con l’intento di sostenere questa iniziativa patrocinata dalla Biennale di Firenze.
A Gaber piace girare lungo il fiume Senna attorno a Giverny e portare i suoi colori ad olio dove Monet e altri impressionisti avevano dipinto la loro visione del mondo; egli sa di tornare a casa con le stesse premesse che hanno ispirato i suoi maestri. Ha anche la certezza di trasmettere questo antidoto contro la sofferenza che è il connettersi con l’istante infinito quando la luce illumina la scena.
La sfumatura dorata getta un velo sul Sentiero nella foresta, creando un regno che lo spettatore non vorrebbe mai lasciare; ma anche una serie di crepuscoli e di momenti come Giovane in giardino che sogna ad occhi aperti produce, attraverso l’abilità dei colpi di pennello, sfumature che catturano la luce fino al punto di creare l’illusione del sole sulla pelle. L’esperienza di comunione con la bellezza è fondamentalmente il ritorno dell’unità perduta.
Antoine Gaber ha un progetto generoso: creare nella nebbia di un mondo turbolento una via d’uscita in cui uno si senta sufficientemente ipnotizzato da poter scappare, non per perdersi, ma per trovare se stesso. L’esperienza commovente di un paziente che piange di fronte ai suoi paesaggi e che il solo fatto di guardarli potrebbe essere parte del suo processo curativo e il sentirsi unito con l’universo è difficile da descrivere. Nell’interiorità del ricercatore e dell’artista in questo caso v’è una coesistenza c’è un intenzione: ripristinare la bellezza dell’universo.
“Non cerco di superare Monet. Cito Monet e il suo stile per creare serenità e per ri-stabilire un equilibrio emotivo. Di fronte alla sua opera, l’esperienza dello spettatore è fortemente legata al sacro. C’è una porta nel suo dipinto la quale conduce a quell’altra riva, che possiamo vedere soltanto dall’esperienza poetica razionalmente indimostrabile. La possibilità di curare l’anima della civilizzazione implica l’espressione a lungo dimenticata dalla cecità moderna: ricreare la bellezza dell’universo fatto da Dio attraverso un arte che trae la sua forza dal mistero che unisce tutte le cose.
Antoine Gaber dipinge anche immagini floreali. Alcuni dicono che sono le sole cose rimaste del paradiso. Tentare di ricrearle è il supremo compito dell’artista.
Adriana Herrera Téllez, Miami, Florida