Agosto 5, 2005
L’arte paesaggistica di Antoine Gaber
Membro dell’Associazione Internazionale dei Critici d’Arte (AICA) e del Comitato Scientifico Internazionale dei Critici d’Arte per la Biennale di Firenze, Italia
Tradotto dallo spagnolo, citazione inedita
“Un’opera d’arte è un angolo di natura
visto attraverso un carattere appassionato.”
Emile Zola
Con innegabile intuizione e grandissima passione, l’artista canadese Antoine Gaber evoca lo spettacolo della natura attraverso la sua sinfonia di colore orchestrata dalla luce. I suoi paesaggi, che rappresentano scene di natura, vegetazione, scene marittime, scorci fluviali e fantasie floreali, costituiscono una poesia naturalistica il cui ultimo proposito è quello di inneggiare alla vita.
Gaber dipinge la natura non solo come un semplice esercizio descrittivo o una fedele riproduzione delle forme degli oggetti, ma come una sapiente trascrizione di un linguaggio permeato dalla sua profonda emozione. La trasposizione che ha luogo nelle sue tele, cioè la trattazione del mondo naturale visto attraverso la capacità di suggestione lirica dell’immagine, esprime l’evidente senso di comunione con la natura che egli possiede.
Di fatto, la natura che Gaber raffigura non è mai un mondo docile e sottomesso ma un’infinita fonte di ispirazione creativa e di piacere esistenziale. Se la trasfigurazione evocativa dello specifico genere pittorico significa studio dell’ambiente, allora non serve indicare la vocazione che questo pittore di paesaggi autodidatta possiede come costante osservatore. Essendo un artista che viaggia, i suoi occhi instancabili cercano tutt’intorno situazioni di fronte a cui poter dipingere le proprie tele, questo durante un viaggio lungo i fiumi e i campi europei ovvero quando attraversa la geografia canadese da costa a costa.
In quegli “angoli di natura” che lui percepisce e che cattura nei suoi numerosi dipinti, c’è una chiara presa di distanza dalle norme dettate dal realismo accademico. Gaber scopre nello stile impressionista una totale libertà espressiva vicina alla sua sensibilità e al suo carattere appassionato. E’ una scelta di stile preceduta dalla potente seduzione che questo pittore, nato al Cairo, sente quando osserva le luci e le migliaia di riflessi sulla superficie del fiume egiziano, nella terra del millenario culto del sole e in un Paese che Erodoto descrisse come “il dono del Nilo”.
Recuperando le prime influenze del Paese natale, così come l’eredità del popolare movimento pittorico francese dell’ultimo terzo del XIX secolo, Gaber, nelle sue tele ad olio, si dedica a rappresentare l’effimera impressione causata dalle forme della natura eternamente mutevoli. Soprattutto, egli è interessato a catturare dei panorami in costante trasformazione, dovuta ai cambiamenti degli effetti della luce e dell’atmosfera e generata dai diversi momenti della giornata e dalle diverse stagioni.
A questo scopo egli usa una tavolozza in cui è presente la metamorfosi della luce: come si è visto nella luce arancione dell’alba che si sposta attraverso un campo ancora sommerso dalle ombre (Alba, Island View, New Brunswick, 2004) e nella mezza luce verdastra e spettrale riportata in vita dalla luna (Chiaro di luna sul Nilo, 1998), oppure nelle dorate esplosioni di radiazione delle sue moltissime versioni dell’imbrunire (Tramonto in Toscana, 1999; Tramonto sul mare 1, 2000; Parigi, Tramonto sulla Senna 1, 2002).
Opere quali Paesaggio invernale canadese 2 (2002), Hampton, N.B., Riflesso d’autunno 2 (2003) e Primavera nel frutteto di meli (1998) appartengono alla categoria delle opere che ritraggono i cambiamenti di questi due elementi, il colore e la luce; cambiamenti generati come conseguenza di diversi particolari ma anche sottolineati dall’equinozio o dal solstizio.
Nel primo dipinto l’artista applica uno spesso quantitativo di pittura bluastra – imitando un clima invernale ghiacciato e stendendolo come se fosse un mare di neve da cui emergono isole di pini dai rami scintillanti per il ghiaccio cristallizzato. Nel secondo, egli ricorre a parecchie macchie rossastre che si distinguono nella verde oscurità, impregnando il fogliame autunnale di un’ultima promessa di calore. Nel terzo, usa delle pennellate di colore molto sottili per ritrarre un paesaggio sotto un bagno di sole in una luminosa giornata di primavera.
La ricchezza di colori e la libertà del suo pennello, assieme al modo in cui a volte organizza lo spazio, mescolano insieme le forme e le confondono una con l’altra (In barca al tramonto 1, 2004). Qualche volta le forme sono solo leggermente delineate a seconda del progressivo digradare degli elementi sullo sfondo (La Senna vicino a Giverny, 1999).
Più spesso, il lavoro di questo pittore, nato nel 1957, dà molta importanza agli oggetti in primo piano, affollato di masse d’acqua o di vegetazione le cui onde conferiscono un certo dinamismo all’opera d’arte, nella quale emergono diverse forme dai contorni che si mescolano. (In barca col mare mosso, Normandia, 2001; I papaveri al di qua del villaggio, 1999).
Per il fatto che la natura è sempre la protagonista dei dipinti di Gaber, molto raramente vi si scorgono figure umane. Quando sono presenti, mancano volutamente di dettagli fisici e tuttavia si trovano armoniosamente inserite in un paesaggio pieno di luce e di colore, come nella Giovane in giardino che sogna ad occhi aperti, 2000.
Comunque, in alcune sue opere, la figura umana non è un intruso nella solitaria grandezza della natura, ma una presenza riportata in vita dagli oggetti che sono testimoni della sua traccia: nelle marine, nei fari, nelle piccole imbarcazioni; nei paesaggi, nelle case di campagna, nei granai, nelle staccionate e in particolare nei sentieri o nei viottoli.
Quei sentieri, spesso costeggiati da siepi disposte simmetricamente o da cespugli fioriti (Giardino a Giverny, 2001 e 2002) ovvero da ritmici filari d’alberi con rami attraverso cui filtrano i raggi del sole (Sentiero nella foresta al pomeriggio, 2004), guidano il nostro sguardo nel viaggio attraverso la tela.
Dobbiamo anche notare la scelta dell’artista di dipingere non solo paesaggi panoramici ma anche altri soggetti della natura non così estensivi. Per esempio, bisogna ricordare la sua abbondante produzione sul tema delle ninfee qual è la serie intitolata “Ninfee”, composta da circa una ventina d’opere dipinte tra il 1998 e il 2003.
Incoraggiato dalla tenace volontà di catturare nei suoi dipinti la visione dell’istante preciso offerto dalla vibrazione della luce sulla superficie acquea (fatto che rinvia a Claude Monet e alle sue ninfee fino ai confini estremi dell’impressionismo e persino fino alla soglia dell’astrazione), Gaber inizia il suo pellegrinaggio verso i giardini sull’acqua di Giverny.
Egli si dedica alla sua ricerca nelle acque di diversi laghetti, rappresentando l’affascinante complessità di questo mezzo, dove galleggiano grandi foglie piatte con petali multicolori, mescolati ad una serie infinita di ombre differenti create dai riflessi del cielo, delle nuvole e della vegetazione che cresce sulle rive.
Allo stesso modo merita un’attenzione speciale la sua natura morta, in particolare quella con un tema floreale. Nelle sue disposizioni verticali, l’artista raffigura mazzi d’astri, di tulipani, di fiori d’edera, d’asfodeli, di margherite, di rose e di iris, organizzandoli con spontaneità dentro vasi che appaiono al centro della composizione (Asfodeli, Natura morta 1, 2002).
Una serie fortunata nel suo gioco di colori e forme, dove le disposizioni sferiche dei fiori sembrano in contrasto con la forma angolare dei gambi e dove le tonalità brillanti dei boccioli e dei petali riacquistano vita sui toni neutrali dello sfondo. L’artista raggiunge un livello persino superiore quando abbandona l’uso dei vasi, lasciando improvvisamente che i girasoli, i papaveri, gli agapanti e i fiori selvatici si sviluppino proprio sulla tela in modo lussureggiante e libero (Papaveri nel giardino 7, 2004), il che trasforma le sue nature morte in pezzi di “natura” che scoppiano di vita.
Nella metafora che celebra il potere della vita, nell’eloquenza del linguaggio che convoglia l’energia della natura e il suo infinito scorrere, nella scelta di un genere artistico che rinnova la sua capacità espressiva per la sensibilità postmoderna, nella celebrazione dei colori, nei tranquilli panorami che ci fanno riflettere, nella profonda emozione in cui lo spettatore resta coinvolto, nella rivelazione estetica come celebrazione di pienezza. ecco dove sta il segreto della bellezza dei dipinti di Gaber.
Argelia Castillo Cano, Uruapan, Michoacán, México
Argelia Castillo Cano – (Messico, D.F. 1958)
Sociologa. Ha scritto articoli sulla cultura e le arti visive per quotidiani messicani come la Reforma e La Voz de Michoacán e anche per riviste specializzate come Art Nexus (Colombia-USA). Ha anche scritto saggi d’arte contemporanea per numerosi cataloghi e pubblicazioni. E’ membro dell’Associazione Internazionale dei Critici d’Arte (AICA) e del Comitato Scientifico Internazionale della Biennale di Firenze, Italia. E’ stata professoressa alla facoltà di scienze politiche e sociali dell’Universidad Nacional Autónoma del Messico. Ha inoltre coordinato e tradotto numerosi libri di lettere e scienze sociali per diverse case editrici messicane, come CONACULTA, Grijalbo, Océano e Trillas, e per diverse organizzazioni internazionali collegate all’OEA e alle Nazioni Unite.